Nel settore dell’abbigliamento le pellicce sono ancora facilmente reperibili in commercio. Tuttavia nessuno si chiede quanti animali vengano uccisi per produrle e quale sia l’impatto ambientale che ne deriva. Attualmente si parla di oltre 110 milioni di animali da pelliccia uccisi ogni anno. Dando un’occhiata alle cifre si scopre che l’85% di essi
proviene da allevamenti di animali da pelliccia, mentre il 50% degli articoli in pelliccia sul mercato proviene dalla Cina (dove non esiste alcuna normativa che disciplini l’allevamento e le tecniche di uccisione di questi animali). A questo si aggiunge il fatto che la vera pelliccia ha un’impronta ecologica molto pesante. Viene infatti trattata con prodotti chimici e, dall’allevamento degli animali fino alla lavorazione delle pelli, vengono rilasciati circa 300 kg di CO2. Per fare un paragone, uno studio condotto da CE Delfts, un istituto di ricerca e sviluppo indipendente con sede nei Paesi Bassi, ha dimostrato che la quantità di CO2 emessa per produrre pellicce artificiali ammonta a “soli” 50 kg circa.
Dal 2009 nell’Unione europea è vietato importare ed esportare pellicce di cane e gatto (in Italia già dal 2001). Di conseguenza è vietato anche il commercio di indumenti e articoli decorati con tali pellicce. Ciò nonostante, sul mercato europeo capita tuttora di trovare capi di abbigliamento con colletti o polsini in pelliccia, stivali o guanti con fodera in pelliccia, proveniente da cani e gatti uccisi fra atroci sofferenze. Il fatto che capi di
abbigliamento di pelliccia o con inserti in pelliccia di cane e gatto arrivino nei nostri negozi
nonostante il divieto è dovuto da un lato a insufficienti controlli delle merci importate,
dall’altro a dichiarazioni deliberatamente false, a denominazioni vaghe quali “vera pelliccia”, alla totale assenza di etichette sui capi e all’uso di nomi di fantasia per indicare gli animali da cui provengono le pelli.
In alcuni paesi esistono leggi che ostacolano o proibiscono del tutto la produzione o la vendita di vere pellicce. In Germania vi è inoltre la possibilità per le aziende di citare in giudizio altre aziende concorrenti che vendono prodotti di pellicceria non adeguatamente etichettati o con etichette che riportano indicazioni false. In caso di denuncia per
insufficiente etichettatura del prodotto, possono essere comminate alle aziende ingenti sanzioni. Un altro esempio del recente passato è la Repubblica Ceca, che nell’estate del 2017 ha deciso di chiudere entro il 2019 tutti gli allevamenti di pellicce presenti sul suo territorio per tutelare gli animali. In Italia, invece, non esiste alcun articolo di legge che si occupi di questa materia. Ora viene naturalmente da chiedersi il perché di questa situazione. Nel XXI secolo non è più ammissibile che gli animali siano imprigionati in
anguste gabbie e uccisi in modo crudele.
Nel 1999 il Consiglio d’Europa ha emanato una raccomandazione sugli allevamenti di animali da pelliccia. Dal punto di vista della protezione degli animali, tuttavia, tale raccomandazione è del tutto inadeguata, poiché rimane ammissibile l’allevamento in gabbie di dimensioni ridottissime. Vengono inoltre tollerate le pavimentazioni in rete
metallica e la mancanza di possibilità per gli animali di arrampicarsi, di scavare nel terreno o di immergersi in acqua. Ciò nonostante, spesso si fa uso della dicitura “pellicce da allevamento responsabile”. In realtà è difficile definire che cosa si intenda con il termine “responsabile”. Infatti, secondo la normativa UE, una gabbia per visone
deve avere almeno tre metri quadrati di superficie. Tuttavia una gabbia può ospitare fino a tre esemplari. In natura una femmina di visone ha a sua disposizione un territorio di almeno otto ettari, mentre la superficie di cui ha bisogno un maschio può arrivare fino a 200 ettari. Si tratta di un’area almeno 26.000 volte superiore a quella disponibile in un allevamento responsabile secondo gli standard UE più elevati.
Tuttavia, sempre più governi danno il buon esempio sottolineando che l’allevamento di
animali da pelliccia non può essere moralmente giustificato. Numerosi Paesi, come la Gran Bretagna, l’Austria, la Slovenia, la Croazia, il Giappone o anche l’India, hanno messo al bando le pellicce. È giunto il momento che tutti i Paesi agiscano nell’interesse del benessere degli animali. Infatti, quanti più mercati cesseranno di vendere pellicce, tanto più rapidamente diminuirà la domanda e quindi la produzione. È un fatto inconfutabile che “chiunque compra una vera pelliccia compra indirettamente la morte fra atroci
sofferenze di uno o anche centinaia di animali indifesi”.
Ciò premesso,
il Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano invita Parlamento e Governo
1. a mettere al bando le pellicce a livello nazionale in un’ottica di sostenibilità ed equità
nonché nell’interesse del benessere degli animali, in modo da porre fine a tali pratiche di
estrema crudeltà;
2. a introdurre il “diritto di azione legale” per le aziende concorrenti secondo il modello
tedesco.